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Sony BMG Music Entertainment. A cura della dott.ssa Marta Palazzo


La discografia è il cuore dell’industria culturale della musica insieme ai promoter di musica live. E’ responsabile della produzione e della diffusione del disco, nelle sue varie forme tecnologie (vinile, musicassetta, CD).

Sostanzialmente la discografia si occupa di inserire un contesto di lavorazione industriale un prodotto culturale come la musica; realizza serialmente un oggetto frutto del talento: il lavoro di un musicista, tradotto e sviluppato in una merce che ne conservi intatte le caratteristiche artistiche, ma che contemporaneamente sia anche vendibile sul mercato.

La discografia opera come mediatrice, interagendo in questo processo con diversi attori: il musicista e il suo entourage a monde della creazione del prodotto; i media e il pubblico, a valle nella diffusione. Il disco, in generale, va considerato come la parte visibile di un iceberg[1]: il “sommerso” riguarda la parte produttiva, distributiva e comunicativa svolta da musicisti, discografia e media. L’idea stessa di una moderna industria musicale nasce proprio con l’emersione di questo iceberg: la fissazione dei suoni su un supporto, venduto per essere successivamente riprodotto su una macchina precedentemente acquistata (un grammofono, un giradischi, un mangianastri); per questo motivo, storicamente la discografia è considerata il centro della comunicazione musicale. Dal lato opposto, questo modello è in forte crisi negli ultimi anni attaccato da più parti: la smaterializzazione della musica in file digitali e la conseguente facilità di scambio legale e illegale attraverso le reti telematiche che stanno facendo invecchiare rapidamente il supporto fisico. Dall’altro lato il “valore” culturale del disco è in caduta libera, anche per il suo prezzo ritenuto troppo alto.

Il pop è da almeno cinquant’anni un iceberg a due punte: una è il disco, l’altra la musica dal vivo. La musica, sia in termini di creatività sia in termini di diffusione industriale, è contemporaneamente una recording art, di cui vediamo solo il prodotto finale ma non il processo produttivo (come la pittura o il cinema) e una performing art, che possiamo fruire dal vivo, mentre viene messa in scena ( come il teatro). Ascoltare un disco e andare a un concerto sono esperienze che si rinforzano a vicenda: ascoltare dischi spinge ad andare ai concerti, e viceversa. Musica registrata e dal vivo sono due tappe del processo di produzione e fruizione della musica. Della recording art si occupa appunto la discografia; della performing art i promoter di musica live.

La discografia è l’industria culturale della musica che si occupa di sviluppare i mezzi tecnici per fissare, archiviare, distribuire e riprodurre i suoni. Investe sulla produzione della musica, quindi ne rivendica la proprietà; gli ascoltatori possono accedere a queste registrazioni solo attraverso la mediazione dell’industria, pagando un disco da essa prodotta.

La moderna industria discografica sorge tra la fine del 1800 e i primi anni del Novecento, quando entra in scena la nuova tecnologia di fissazione del suono su un supporto: il fonografo di Edison (1877) e il grammofono di Berliner (1894). La musica viene sostanzialmente trasformata in un oggetto. Attraverso la sua fissazione e archiviazione su un supporto, la musica diventa quindi ri-producibile e ri-vendibile. E’ Berliner a introdurre l’idea del playback, di uno strumento mirato all’intrattenimento casalingo riproducendo un supporto registrato in precedenza.

Nella prima metà del XX secolo, così, l’industria discografica cambia il suo core business dalla gestione dei diritti d’autore (i proventi derivati dalle esecuzioni di brani noti e la vendita di spartiti) alla produzione e vendita di dischi per la  riproduzione casalinga.

La discografia moderna nasce quindi con la riproducibilità seriale della musica, ottenuta tramite le tecnologie di registrazione di uno studio: una canzone viene incisa per essere stampata in migliaia/milioni di copie, virtualmente identiche l’una all’altra. Si possono distinguere quattro periodi della discografia:

  • La nascita (fine Ottocento- anni cinquanta del Novecento); il passaggio dal modello di Tin Pan Alley, basato sullo sfruttamento delle edizioni, alla fonografia;
  • Il boom (anni cinquanta-settanta): l’avvento del rock’n roll e l’uso dei media come vetrine per i prodotti discografici;
  • Il digitale (anni ottanta): l’avvento del CD e la riconversione del catalogo del nuovo formato;
  • La crisi (dagli anni novanta a oggi): il declino del supporto fisico e la musica digitale smaterializzata.

Il boom della discografia coincide con l’avvento del rock’n roll, quindi con l’espansione del dopoguerra: la musica popolare trova nuove forme (il linguaggio trasgressivo di Elvis, che si ribella alla musica popolare precedente), nuovi canali (il simultaneo uso di radio, stampa e TV come vetrine per i nuovi artisti) e un nuovo pubblico, i giovani che usano il consumo musicale come stile identitario e di vita per dai propri genitori. La vitalità artistica della musica e il suo impatto sociale e culturale vivono alti e bassi: si pensi alla stagnazione dei primi anni settanta del Novecento e al rigurgito di trasgressione del punk di fine decennio. Per l’industria della musica la nuova stagione arriva a partire dagli anni ottanta, con la prima introduzione del digitale e del CD, che supera tutti i limiti del supporto precedente, il vinile: qualità dell’ascolto, durata, tecnologia facilità d’uso. Il nuovo supporto, che si afferma definitivamente sul mercato tra la fine del decennio e l’inizio del successivo, permette all’industria di rivendere tutto il catalogo, con bassi costi di produzione se non quelli di riversamento. Da allora, praticamente ogni disco è stato rimasterizzato, ristampato e rimesso sul mercato, spesso anche più volte, e sempre con qualche “bonus” per stuzzicare i collezionisti): si pensi, per fare un esempio, a dischi “storici” come Kind of Blue di Miles Davis o The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, ristampati almeno tre – quattro volte a partire dagli anni ottanta. In sostanza, l’industria ha vissuto una florida stagione rivendendo ai consumatori non solo nuovi prodotti, ma anche ciò che già avevano.

Questa stagione si è ormai esaurita: il quarto periodo, quello attuale, vede la crisi. L’industria cita come causa principale la pirateria: dai masterizzatori al file sharing è sempre più facile procurarsi musica senza pagare.

Nell’era della musica smaterializzata in file come l’MP3, è in atto un chiaro processo di disaffezione verso la musica come oggetti originale, che comprende anche il suo packaging: copertina, libretto ecc.

Il compito della discografia è quello di rielaborare i significati della musica adattandoli al contesto del consumo: rendere cioè la musica consumabile dal pubblico e trasmissibile sui media. Talvolta i discografici riescono a scoprire e lanciare sul mercato artisti e tendenze che non solo generano introiti, ma incidono effettivamente sulla cultura e sul costume del tempo.

E’ il talent scouting che ha reso famosi nella cultura pop non solo i nomi dei grandi artisti, ma anche quelli dei discografici che li hanno scoperti: da Chris Blackwell (fondatore della Island e scopritore di Bob Marley e U2) a Clive Davis (Santana), a John Hammond Jr (Bob Dylan, Bruce Springsteen).

Talvolta, specie negli ultimi anni, questo si trasforma invece in un demerito: la discografia appiattisce i propri prodotti su tendenze consolidate, orientando la funzione di scouting verso fattori non musicali (l’immagine) e livellandosi verso un minimo comun denominatore sempre più basso; semplicemente risponde a standard imposti dall’esterno (su tutti, quelli radiofonici e quelli delle emittenti videomusicali come MTV): si pensi, per esempio, al fenomeno delle boy band degli anni novanta, che sembravano prodotte in serie, oltre che studiate a tavolino come pure applicazione del marketing a prodotti in cui il talento musicale era di fatto completamente assente.

Il lavoro dell’industria discografica è di quelli definibili “ad alto rischio d’impresa”: necessita di grandi investimenti in nuovi artisti e repertorio. In sostanza per dieci dischi diversi pubblicati, uno solo copre le spese sostenute. Spesso un solo disco di successo ripaga molti altri dischi pubblicati con scarso esisto (commerciale, s’intende; la valutazione artistica è un’altra cosa: un disco reputato ottimo dalla critica può vendere poche migliaia di copie ed essere in perdita).

Dei molti prodotti immessi sul mercato, solo alcuni si ripagano le spese; una minima percentuale genera introiti che servono a coprire i costi degli altri prodotti e a far guadagnare l’impresa. Ad esempio, un disco degli U2 paga il lavoro svolto per pubblicare una miriade di altri artisti i cui dischi vendono poche migliaia di copie. La conseguenza di questo processo è che più spesso l’industria lavora alla ricerca immediata dei nuovi U2 piuttosto che sullo sviluppo a lungo termine di artisti in grado di produrre musica di alta qualità. In tempi di vendite costanti la discografia si bilanciava tra ricerca, vendite e sviluppo di artisti; in tempi di crisi come questi è fortemente sbilanciato verso la ricerca di successi immediati, anche se effimeri.

Questo processo porta la discografia a giustificare l’alto prezzo del disco: secondo i discografici, 20 euro sono un prezzo equo per un CD. Come spiega  il sito della FIMI, su questo prezzo incide fino al 40% il margine di ricavo di commercianti e distributori; un 20% è derivato dall’ IVA (il disco è incluso nella fascia più alta di tassazioni ed è considerato un bene di lusso). Rimangono circa 10 euro, che servono alla discografia per gestire i costi diretti e quelli indiretti.

Tra i costi diretti sostenuti dalle case discografiche rientrano ricerca e sviluppo artistico, e registrazione, fabbricazione, percentuale dell’artista, SIAE. Nei costi indiretti rientrano invece distribuzione, marketing e promozione, amministrazione.

Le major: mercato e tecnologia

L’industria discografica è sostanzialmente un oligopolio, composto da quattro “major”: Warner, Universal, EMI/Capitol, Sony/BMG. Esse controllano il 75% del mercato: costituiscono di fatto un “cartello” in grado di deciderne l’andamento, influenzandone tendenze economiche e culturali. Tutte e quattro le aziende sono il risultato di fusioni e acquisizioni che hanno radicalmente segnato la discografia moderna. Ognuna di queste major incorpora al suo interno marchi storici della discografia e i rispettivi “repertori”, ovvero il catalogo di artisti sotto contratto attualmente o di cui si detengono i diritti di pubblicazione.

La Universal Music è parte della nota multinazionale dell’entertainment; disco graficamente riunisce una serie di marchi e repertori storici, su tutti quello Polygram; negli anni ottanta. Al suo interno sono riunite la Mercury/Island, la Geffen e la Interscope, nella classica e nel jazz, come la Deutsche Grammophon e la Verve.

La Sony/BMG nasce da una fusione tra due grandi aziende: la Sony Music Entertainment era la divisione discografica dell’omonima azienda giapponese dell’elettronica di consumo. La Sony ha acquisito la Columbia (produzione discografica, cinematografica e televisiva) alla fine degli anni ottanta. Nel 2005 la fusione con la BMG, che ha nel suo repertorio etichette come l’Artista e la RCA. Il risultato della fusione è impressionante, in termini di repertorio: Dylan Springsteen, Miles Davis, Michael Jackson, Elvis Presley, Eros Ramazzotti.

La EMI ha un catalogo ancora più importante anche se la sua quota è sensibilmente più bassa: Pink Floyd e Beatles, oltre all’artista italiano Vasco Rossi. Incorpora al proprio interno marchi storici come Blue Note, Parlophone, Capitol e Virgin.

Infine, la Warner fino a poco tempo fa era parte del più importante gruppo mondiale dell’entertainment Time/America on Line. Recentemente, però si è staccata dal suo gruppo originario: è stata venduta a Edgar Bronfman Jr., imprenditore canadese indipendente, già alla guida del gruppo Universal. Tra  i suoi marchi: Atlantic, Elektra e Asylum e l’italiana CDG. Sotto contratto: Madonna, Alanis Morissette, Laura Pausini.

Si tratta di multinazionali che operano su territori globali e fanno o hanno fatto parte di vaste aziende di intrattenimento. Ciò significa sostanzialmente che il loro processo di produzione culturale è vincolato da diversi fattori. Tra questi spicca la localizzazione. L’industria discografica è “globale”, ma anche fortemente centralizzata nei paesi anglosassoni: le sedi nazionali rispondono alle sedi centrali europee che a loro volta rispondono a quelle centrali mondiali, situate per lo più negli Stati Uniti. Questo sia in termini economici e di bilancio sia, spesso in termini di scelte produttive: le cosiddette “priorità” (ovvero gli artisti sui cui investire economicamente e lavorativamente) sono imposti dall’esterno del singolo contesto culturale ed economico. Un artista che ha avuto successo in America viene spinto e “lavorato” anche nelle singole sedi, ma difficilmente avviene il contrario.

Questa regola ha alcune eccezioni, che riguardano generi che di chiaramente hanno poco successo in certi mercati, per esempio la musica “urban” e “black” ha alte vendite in America ma non è sempre esportabile; e anche le exploitation, cioè quei reparti del marketing nazionale che si occupano, spesso però con risorse ridotte, di “vendere” ad altri paesi i propri artisti.

Le major fanno quindi “mediazione culturale”: controllano il mercato decidendo quali tendenze e generi spingere e quali frenare, spesso secondo i canoni “anglofili” prima descritti sostanzialmente controllano quale “software”, quali contenuti produrre e immettere sul mercato. Un altro degli strumenti più efficaci utilizzati dall’industria discografica per gestire il mercato è il controllo dell’hardware, ovvero delle macchine che ci servono per riprodurre la musica.

Il caso del CD è emblematico: inventato negli anni ottanta dalla Philips (dallo stesso gruppo industriale della Polygram, poi confluito in Universal) e dalla Sony, ha inesorabilmente spazzato via il vinile, permettendo alla discografia di vendere non solo nuovi dischi ma, di rivendere tutto il catalogo passato. Una delle cause dell’attuale crisi discografica è da ricercarsi nella perdita di potere tecnologico: per la prima volta, chi ascolta musica può usare un hardware e un software non progettato dalle multinazionali a cui appartengono le industrie discografiche: il personal computer, con cui si può facilmente copiare la musica.

L’attuale crisi della discografia e le continue fusioni tra etichette degli ultimi anni hanno ridimensionato notevolmente le possibilità di lavoro nell’industria discografica “major”. Le industrie hanno ridotto i loro organici con percentuali assai elevate, riducendo conseguentemente le possibilità di accesso. A questo si aggiunge una tradizionale impermeabilità verso l’esterno: raramente i posti di lavoro delle industrie discografiche vengono offerti tramite i tradizionali canali di collocamento; vengono piuttosto occupati tramite il passaparola tra i conoscenti sia in fase di ricollocazione e avanzamento di carriera (trasferimento da un’azienda all’altra) sia in fase di primo collocamento (stage e contratti di formazione).

I canali di accesso sono quindi difficili da individuare, soprattutto in Italia: per esempio, solo da pochi anni si è diffusa una cultura della formazione alla professione discografica, per esempio con l’istituzione di collegamenti più stretti con il mondo dell’università e dell’istruzione. Pure la musica, grazie anche al contemporaneo svilupparsi di istituzioni formative parauniversitarie, ha iniziato ad avere ambiti formativi specializzati alternativi a quelli tradizionali (legati esclusivamente alla musica classica). Questo ritardo cronico del sistema musicale nel dotarsi di specifici percorsi formativi dà anche una prima risposta alla domanda sulle competenze richieste. Ovviamente sono diverse per settore, ma ancora oggi a discografia italiana è spesso legata all’idea che il mestiere si impara sul campo. La passione: è questo il principale motore di chi lavora nella musica; soprattutto nella discografia major, deve essere unita a una buona dose di disincanto, perché pur sempre di grandi industrie si tratta, che devono necessariamente bilanciare fatturato e valore artistico del prodotto, sempre più spesso sacrificando quest’ultimo ai dettami economici.

Le major discografiche hanno solitamente una macrodivisione interna  e quattro livelli di lavoro sul prodotto musicale a cui si aggiungono le tradizionali strutture amministrative/gestionali di una grande azienda (finanziare, legali ecc.).

La prima divisione è solitamente quella per repertori. Ognuna delle quattro major, sia in Italia sia nelle sedi centrali, è suddivisa al suo interno per “etichette” di competenza. Ognuno di questi reparti è dotato di forze lavoro semiautonome su 1 o 2 dei quattro livelli di lavoro del prodotto: artistico, marketing/promozione, a cui si aggiungono edizioni e distribuzione. Il prima cura lo “sviluppo” del prodotto musicale; il secondo le strategie e le tattiche di immissione e lancio sul mercato; il terzo e il quarto, infine, curano rispettivamente la gestione dei diritti d’autore e la commercializzazione sul territorio.

La Sony/BMG italiana, per intenderci, ha almeno quattro reparti: uno che cura il repertorio di catalogo, il classico/jazz (con tutte le relative sottoetichette, tra cui la Columbia/Legacy che si occupa di ristampe); quindi tre divisioni pop: il repertorio Columbia, il repertorio Epic e il repertorio BMG. Ognuno di questi reparti ha un proprio ufficio marketing e promozione e la responsabilità su una serie di prodotti. A differenza di altre case discografiche (come la Universal o la Warner), non c’è distinzione tra repertorio internazionale e nazionale; il reparto “artistico” che cura lo sviluppo è trasversale ai tre dipartimenti che si occupano di nuovi prodotti, sia italiani che internazionali. Tutti i reparti appoggiano su una struttura comune di distribuzione commerciale mentre le edizioni fanno una vita a parte.

Va notato che la suddivisione in aree di repertorio delle major è spesso una risultanza delle fusioni da cui le stesse major sono originate: le industrie vengono accorpate fisicamente (trasferendo le aziende nella stessa sede) e simbolicamente (il brand e la comunicazione d’immagine verso l’esterno), ma mantengono una propria identità originaria al loro interno. Ognuno dei reparti ha un direttore, che risponde al direttore italiano della casa discografica, che a sua volta risponde a un capo europeo.

Come in tutto le fusioni, uno dei due gruppi dirigenziali “vince”: le cariche vengono affidate al management di una o dell’altra casa discografica preesitente, mentre le cariche intermedie e più basse di livello vengono accorpate e ridotte di numero offrendo una buonuscita, sia ai manager sostituiti che agli impiegati. Nella fusione Sony/BMG, a “vincere” è stato il management della Sony: la sede comune è quella di quest’ultima e le cariche più alte sono rimaste ai dirigenti italiani della casa giapponese; a differenza di altre fusioni, però la nuova struttura ha mantenuto ben distinguibili le identità originarie, conservando diverse cariche intermedie: la presenza di così tanti repertori dimostra la fusione “morbida”.

 La risposta delle major allo sviluppo dei modelli di business dell’industria musicale

Nell’evoluzione del business musicale che si sta spostando da un ambiente basato su un singolo formato ad una moltiplicazione di canali per ricavare proventi dall’utilizzo di musica, si assiste all’emergere di sempre nuove opportunità. La sincronizzazione (l’utilizzo di musica in film, pubblicità e videogiochi); le partnership basate sullo sviluppo di brand, il merchandising e i diritti per l’utilizzo televisivo e radiofonico, sono le aree chiave nell’evoluzione delle licenze musicali. Generare valore dalla connessione tra un artista e un brand noto, è un’area sulla quale molte società discografiche si stanno focalizzando. Nel 2008 ad esempio la Sony Music Entertainment ha raggiunto un’intesa con la società di comunicazione Exposure per lanciare un’agenzia pan-europea chiamata SBX che svilupperà attività di marketing in partner tra musica, artisti e brand.

Altra strategia riguarda il settore del merchandising. Le case discografiche stanno vendendo in maniera crescente “bundle” di prodotti che combinano download di prodotti musicali con merchandising o bilietti di concerti in modo da creare quello che in effetti è un prodotto non “piratabile”. Originariamente il merchandising veniva commercializzato in aree separate all’interno di negozi senza nessun collegamento con la data di relase del disco. Includendo il merchandising nella campagna di marketing digitale e fisico di un nuovo album da parte delle aziende e permettendo di lavorare in maniera molto più coordinata con i distributori, gli artisti possono raggiungere ed ampliare il proprio pubblico. Warner Music, ad esempio, ha messo in commercio una t-shirt per Esser che aveva un codice cucito all’interno della maglietta in modo da permettere ai fans di scaricare un brano senza un costo aggiuntivo.

Altri ricavi dovrebbero provenire dai proventi che i diritti connessi discografici generano. Per quanto riguarda le sincronizzazioni, le società discografiche hanno introdotto dipartimenti specializzati data la maggiore specializzazione che il settore sta subendo ed i relativi ricavi che ne derivano. In alcuni mercati le sincronizzazioni sono servite a lanciare nuovi artisti. Lo scozzese Paolo Nutini ad esempio, ha un contratto con Warner Music ed è stato il protagonista della campagna di Puma con il suo brano “New shoes”. Anche il settore dei videogames sta diventando una sempre più crescente e significativa fonte di domanda di contenuti musicali. L’uso della musica nei videogames sta generando un’ampia quota ti ricavi. I giochi a carattere musicale hanno costituito nella prima metà del 2009 il 15% delle vendite nell’intero settore negli USA. Ad esempio i giochi per X Box hanno permesso alla Microsoft di raggiungere alti profitti con i download di musica,  che è stato pari  3.8 miliardi di canzoni al mese. I ricavi provenienti dal settore dei videogames hanno superato quelli provenienti dai film e sono secondi solo a quelli provenienti dagli spot pubblicitari.

Compensi alternativi sono inoltre quelli derivanti dai “diritti connessi” relativi alla pubblica esecuzione: musica sparsa di attività primaria e secondaria. Per musica sparsa di attività secondaria s’intende la diffusione di musica in ambienti quali sale da ballo, ristoranti, hotel, locali, pubblici servizi, etc. Questi ambienti utilizzano la musica per attrarre e conservare i propri clienti e per generare produttività nei dipendenti. In essi però la musica non è un fattore di produzione primario e potrebbero continuare ad operare anche in assenza di questa. La musica sparsa di attività primaria riguarda invece le discoteche e broadcasting radiofonico due ambienti che senza musica non potrebbero operare e la televisione che fa comunque ampio uso di musica anche se non un uso esclusivo. Questi tre ambiti sono importanti fonti di ricavo per il settore musicale ma spesso in molti paesi, artisti e produttori non ricevono le rispettive royalities dalle licenze concesse. Proprio gli Stati Uniti risultano essere il paese per eccellenza dove artisti e produttori non dispongono di un diritto ad essere ricompensati quando la propria musica viene utilizzata nei negozi o trasmessa per radio. Questa assenza di un diritto per la pubblica esecuzione è un’anomalia che il settore si propone di risolvere.

Inoltre nuovi modelli di business si stanno evolvendo. Altra strada adottata dalle etichette per incrementare i ricavi sembra essere il Music Access. Un sistema di accordi di revenue-sharing con i service provider, con i produttori di hardware, con i produttori di telefonini e con altre società di tecnologie che vendono musica insieme ad altri servizi o device. Tali società. Infatti, vedono nei contenuti musicali un modo per aggiungere valore ai propri servizi e per incrementare i propri modelli di business, mentre le etichette musicali guardano a questi partner per la grande capacità di raggiungere le case e gli stili di vita dei consumatori.

Un esempio eclatante di come sta evolvendo questo modello di business solo le nuove offerte disponibili anche nel nostro paese: “Comes whit Music” (OVI). L’offerta di Nokia prevede, al seguito dell’acquisto di un telefono, la possibilità per il consumatore di acquistare un vastissimo catalogo di prodotti musicali per un anno senza costi aggiunti. Gli utenti accedono al servizio scaricando sul PC un’applicazione che da loro la possibilità di accedere al servizio Nokia Music Store e trasferire la musica sui propri devices. Dopo un anno i consumatori possono trattenere tutte le tracce che hanno scaricato e continuare ad aggiornare la propria collezione acquistando, con pochi centesimi di euro, altri brani o aggiornarsi con un nuovo telefonino.  Il limite dell’offerta è rappresentato dall’impossibilità di usare i contenuti acquistati su altri devices (quali ad esempio I Pod o Zune) in quanto non privi di DRM.

Ma il music access non è adottato attualmente solo dal settore telefonico. Sempre più prodotti vengono oggi venduti con “musica incorporata”, dallo stereo di casa, all’autoradio ai televisori. Sempre più aziende stanno comprendendo il valore che la musica può aggiungere ai propri servizi e prodotti.

Uno degli strumenti più utilizzato negli ultimi anni dalle major è il rapporto con i media. Il rapporto discografia/media assume per lo più la forma della promozione: la concessione gratuita di contenuti (dischi, videoclip, brani per le radio) in cambio di visibilità: recensioni, interviste, inserimento nella programmazione broadcasting. Ancora oggi il rapporto tra case discografiche e media è molto delicato, una sorta di do ut des: ti faccio avere quel disco, quell’artista, quel videoclip, ti compro della pubblicità però tu mi passi anche questo o quell’altro artista che sto cercando di lanciare. La questione, ovviamente, è più complessa. Il piano di promozione che viene stilato per ogni disco in uscita prevede una lista di media sui quali insistere e delle singole emittenti/testate alle quali rivolgersi per ogni singolo prodotto. E’ difficile che un’emittente video musicale o una hit radio possano programmare il nuovo singolo di un artista rock tradizionale. Il compito del reparto promozione, allora, è di identificare i media da coinvolgere per ogni prodotto e soprattutto quello di tenere rapporti stretti con tutti i media lavorando il più possibile su tutto il catalogo.

Una parte di questo reparto si occupa specificamente delle radio che sono ritenute il medium più importante per lanciare un disco. Il compito è tenere i contatti con gli uffici musica e con i programmatori, informandoli dei nuovi brani, facendo avere loro i supporti e convincendoli a mettere in rotazione le canzoni, organizzare i “radio tour” nei quali accompagnare gli artisti, ovvero ospitate e interviste in programmi radiofonici.

Un compito analogo ha il reparto televisivo che si occupa della distribuzione dei videoclip e di far pressione perché entrino in rotazione sulle reti televisive, di pianificare e accompagnare gli artisti nelle ospitate TV. Portare artisti in televisione può essere anche molto costoso (soprattutto se si tratta di artisti stranieri), perché i costi ricadono totalmente sulla casa discografica: essendo considerata una forma di promozione pubblicitaria, l’emittente solitamente non paga né l’ospite né deve rimborsi a chi lo porta.

Il ruolo della stampa  è controverso: è ormai un dato certo che i giornali e riviste musicali non sono in grado di aumentare significativamente le vendite di un disco. Ciò nonostante, la critica e il giornalismo musicale rivestono un’importanza storica e culturale nella musica pop. Ottenere buone interviste e buone recensioni è soprattutto un fattore d’immagine, più che di vendite, per la casa discografica così come per gli artisti. Gli uffici stampa delle case discografiche hanno il compito di tenere i rapporti con testate e giornalisti, di fornire loro a tempo debito le copie promozionali dei dischi in modo da far uscire le recensioni in contemporanea, organizzare le interviste, emettere i comunicati stampa che annunciano notizie su un artista o su un disco. Una delle tendenze storiche della discografica, consolidatasi negli ultimi anni, è quella che in altri campo industriali verrebbe chiamata outsourcing: affidare un disco o un artista a un ufficio stampa esterno. Ciò avviene soprattutto per i dischi/artisti più importanti, e in alcuni casi sono gli stessi artisti a imporre e scegliere l’ufficio stampa (spesso lo pagano anche direttamente), in modo da delegare la comunicazione a una persona di fiducia.

Per quanto attiene al rapporto tra le case discografiche, esse hanno sviluppato un atteggiamento bifronte nei confronti della rete digitale: se da un lato si coalizzavano formalmente in sedi associative e federative per risolvere a livello istituzionale le questioni pressanti relative alla pirateria e al diritto d’autore, dall’altro prendevano iniziative singole, varando occasionali alleanze tra loro per lanciare tecnologie nuove, oppure con media o music provider per entrare nell’azionariato di siti musicali generalisti, inclusi quelli impegnati nella distribuzione digitale.

Oggi le case discografiche stanno facendo molti passi avanti, stringendo alleanze tra loro e creando partnership con numerosi infomediari. Un esempio in particolare può essere fornito dal sito di Vitaminic, da sempre in stretta collaborazione con numerose case discografiche indipendenti, il quale, gradualmente, è riuscito ad ottenere condizioni favorevoli anche dalle major, arricchendo in questo modo il suo catalogo. Come nel caso di Vitaminic sono nati molti portali di download a pagamento (ad esempio, Dada, Msn Music) i quali rappresentano le reazioni più evidenti di come l’industria discografica stia cercando di reagire alla crisi del settore.

Il processo di convergenza digitale sta alimentando la creazione di una fitta rete di alleanze tra società appartenenti a diversi settori, che oggi si trovano a competere in nuovi mercati e necessitano quindi di acquisire all’esterno e di sviluppare nuove competenze per rispondere efficacemente alle richieste della domanda.

In particolare la necessità di sviluppare partnership e di alimentare la convergenza fra media e contenuti nel meta mercato digitale apre all’industria discografica nuove opportunità di relazione con soggetti che sino a poco tempo fa non erano presenti nel business musicale, bensì operavano in altri segmenti dell’entertainment, della comunicazione dell’informatica.

Le collaborazioni con le aziende operanti nel settore dell’informatica sono indispensabili per poter inserire i propri contenuti musicali sul web. Le case discografiche ad esempio non hanno il know how necessario per costruire e gestire i siti Internet che vendono CD on line oppure offrono lo streaming e/o il downloading di file musical.

Per questo motivo diverse case discografiche (come la Universal Music Group e la Sony) hanno siglato joint venture con società del settore informatico (come Microsoft) per sviluppare e lanciare siti Internet a contenuto musicale. Se il futuro della musica è la rete allora le case discografiche non possono che ricercare alleanze con quei soggetti, che pur appartenendo a settori molti diversi da quello musicale, sono all’avanguardia nella progettazione e realizzazione di tecnologie e servizi legati a Internet. Le partnership sono un mezzo per acquisire quelle risorse e conoscenze che costituiscono le più importanti capacità. Esse tuttavia non solo tese alla conquista di un vantaggio competitivo immediato, ma sono anche un mezzo per acquisire flessibilità sotto il profilo strategico. Le alleanze consentono cioè di disporre di un ventaglio di possibili sviluppi, tra cui scegliere il più adatto alla sopravvivenza in un ambiente caratterizzato da notevole variabilità. Sorge quindi la necessità di sviluppare una rete di alleanze che consenta di essere presenti su più fronti e di essere pronti nel momento in cui la direzione dello sviluppo, tra le possibili traiettorie evolutive, emerga con chiarezza. La stipulazione di alleanze è guidata dalle necessità che l’impresa riscontra interfacciandosi con il mercato; spesso le considerazioni sul risparmio di costi sono state la forte trainante nel discriminare l’opportunità o meno di un’alleanza. Un motivo delle alleanze tra imprese operanti in settori diversi o in settori contigui sta nelle opportunità nascenti dall’apertura di una cosiddetta “finestra strategica”[2]. Con questo termine ci si riferisce alle opportunità di mercato conseguenti ad una variazione degli assetti, quali nuovi canali, cambiamenti nei gusti e nelle esigenze della domanda, nascita di nuovi segmenti di mercato, ecc. Le alleanze possono aver luogo allorquando all’interno del settore si vogliono creare le condizioni per una maggior concentrazione, ostacolando non solo lo sviluppo delle imprese esterne all’alleanza, ma anche impedendo l’ingresso di nuovi concorrenti. Mediante l’alleanza due o più imprese operanti in settori differenti o contigui ricercano complementarità in grado di sviluppare effetti sinergici. Spesso un’alleanza consente di raggiungere le necessarie dimensioni e lo sfruttamento di economie di scala senza comportare necessariamente un aumento della capacità produttiva del settore e permette di ottenere una forza concorrenziale superiore a quella degli altri rivali.

Sony Corporation

Sony Corporation è un gruppo economico giapponese, tra i primi cento al mondo per fatturato e presente nei settori dell’elettronica di consumo, della comunicazione e dei servizi finanziari. Il titolo Sony è quotato alle Borse di Tokyo e New York.

La fondazione di Sony Corporation è avvenuta il 7 maggio del 1946 per iniziativa di Masaru Ibuka, ingegnere, e Akio Morita, fisico; che investirono l’equivalente di 190.000 yen nella creazione di un’azienda con 20 dipendenti.

Ben presto la società si dedicò alla ricerca di un  nome, che caratterizzasse i suoi prodotti e fosse idoneo ad attrarre i clienti. Si pensò di usare l’acronimo TTK (Tokyo Telecommunications Engineering Corporation), ma ciò avrebbe causato confusione con la compagnia ferroviaria Tokyo Kyuko, che era conosciuta come TKK.

Nel 1950, nel dopoguerra in Giappone, Ibuka e Morita crearono il primo dispositivo hardware, un registratore / registratore chiamato G-TYPE. I costi dei materiali furono così alti che i primi nastri erano fatti di carta dipinti a mano con materiale magnetico applicato dai tecnici sui dispositivi.

Ibuka era un visionario in grado di predire quali potevano essere i prodotti e le tecnologie da utilizzare nella vita quotidiana. Diffuse nelle sue fabbriche uno spirito di innovazione e spinse gli ingegneri  ad andare oltre le proprie aspettative. Ibuka inoltre favorì un ambiente di lavoro stimolante e una cultura aziendale molto aperta.

Nel prospetto aziendale iniziale, espresse il suo desiderio di costruire una società i cui dipendenti acquisivano piacere e soddisfazione dal loro lavoro. Attraverso la caparbietà di Ibuka, il registratore G-TYPE, evoluto poi nel P Model (“portatile”), divenne il primo prodotto redditizio della società.

La svolta decisiva verso il successo si ebbe nel 1954, quando Tokyo Telecommunications Engineering Corporation ottenne una licenza per la fabbricazione di transistor. Il transistor era stato precedentemente inventato in America, ma non era mai stato utilizzato per le radio, che funzionavano a valvole. Nel maggio 1954, Sony lanciò il primo transistor del Giappone e l’anno successivo la prima radio interamente a transistor. Ibuka esortò i suoi ingegneri a migliorare i metodi di produzione con l’obiettivo di creare un prodotto di consumo, la radio a transistor. Nel 1955, il TR-55, fu la prima radio a transistor lanciata nel Giappone.

Nel 1957, Sony lanciò la prima radio a transistor tascabile, che permise all’azienda di avere una  posizione di leadership di mercato. Da allora poche aziende riuscirono a uguagliare la Sony in fatto di invenzione e innovazione.

Akio Morita fu un agente di marketing vero e proprio,  che è stato determinante nel rendere Sony un nome familiare in tutto il mondo.  Era deciso ad istituire il marchio Sony. In realtà, ebbe l’ispirazione rivolgendosi a un ordine di 100.000 radio da Bulova, altro colosso mondiale in quegli anni, perché volevano che il nome Bulova apparisse su tutte le radio. Morita rispose affermando che in cinquanta anni, anche la sua compagnia sarebbe diventata altrettanto famosa. Morita voleva trovare una parola che non esistesse in nessuna lingua, in modo che chiunque nel mondo la individuasse con i suoi prodotti.

Il nome Sony, definitivamente adottato nel 1958, derivò da un incrocio tra la parola latina sonus, radice di parole come “suono”, e l’altra di origini inglesi sonny, che sta a indicare piccolo figlio; l’espressione del gergo giapponese Sonny boys indicava giovani brillanti, destinati ad una rapida carriera. Le parole sono state usate per dimostrare che Sony è un gruppo molto ristretto di giovani che hanno l’energia e la passione verso la creazione illimitata.

Peraltro, la parola Sonny presentava troppe assonanze con un altro termine gergale, assai meno augurante: soh-nee che significa, più o meno, “gli affari vanno male”. Al tempo, era estremamente inusuale che un’azienda giapponese ricorresse ad una denominazione in caratteri latini e non in ideogrammi locali. La TTK, inoltre, usufruiva dei servizi bancari della Mitsui che, dal canto suo, preferiva un nome come “Sony Electronic Industries” o “Sony Teletech“. Morita non volle però legare il nome dell’azienda ad un tipo particolare d’industria e, alla fine, riuscì a portare dalla sua sia Ibuka che i banchieri.

Negli oltre 50 anni trascorsi dall’avvio della sua attività, l’azienda passò dai 20 dipendenti iniziali a uno staff composto da più di 180.000 persone in tutto il mondo. Sony divenne una multinazionale, Akio Morita aveva compreso fin dal principio che la sua azienda doveva prendere in considerazione il mondo intero come mercato e non limitare il proprio campo di azione al solo Giappone. Fu lui a insistere affinché il nome Sony venisse messo in evidenza su tutti i prodotti dell’azienda.

Tra i prodotti più significativi sviluppati nel corso degli anni vi sono il primo televisore a colori Trinitron nel 1968, la videocassetta a colori nel 1971, il videoregistratore Betamax nel 1975, il Walkman nel 1979, il Floppy Disk da 3,5 pollici nel 1989, una fotocamera elettronica nel 1981, il primo lettore CD del mondo nel 1982 e la prima videocamera per uso domestico nel 1983, il video da 8mm nel 1988, il primo videoregistratore digitale nel 1985 e tantissimi altri prodotti, fino ad arrivare all’interconnettività dei giorni nostri.

La tecnologia video è sempre stata un’innovazione e una priorità anche per gli ingegneri Sony. La strada verso la costruzione di un set di colori di alta qualità televisiva fu piuttosto una lotta, ma il 15 ottobre 1967, si contribuì alla realizzazione di un nuovo tubo a raggi catodici.  La prima televisione a colori fu nominata Trinitron, nome derivato dalla “trinità”, parola che significa unione di tre elementi, e “Tron” (tubo elettronico). Dalla sua introduzione nel 1968, la televisione Trinitron ha fissato lo standard per la qualità dell’immagine e del design.

Come sostenitore di localizzazione globale, Morita entrò in contatto con le economie locali e volle istituire impianti di produzione in tutto il mondo. Nel 1960 venne fondata Sony Corporation of America, seguita nel 1968 da Sony United Kingdom Limited. Una volta che i prodotti venivano venduti in un paese, sembrò logico iniziare a fabbricarli localmente. Nel 1972 venne fondato un centro di produzione a San Diego, dove Morita divenne il primo giapponese ad avere impianti di produzione di materiali di consumo elettronico negli Stati Uniti. In seguito, nel 1974, vi fu l’apertura dello stabilimento di Bridgend destinato a rifornire il Regno Unito e l’Europa.

Inoltre, senza Morita, il mondo non avrebbe mai conosciuto il Walkman inteso come stereo personale. Il suo entusiasmo e la fiducia nel futuro successo del prodotto furono il vero motore della sua popolarità.

In un primo momento, la vendita del walkman non venne vista di buon occhio dai rivenditori. Otto dei dieci concessionari Sony erano convinti che un lettore di cassette senza un meccanismo di registrazione non poteva avere un futuro. Tuttavia, le dimensioni compatte del prodotto e un suono di eccellente qualità furono elementi di attrazione per  i consumatori e, infine, si diede vita alla rivoluzione del personal audio.

Kazuo Iwama era una persona orientata al dettaglio, ammirato per la sua conoscenza scientifica e la disciplina. Fu nominato presidente di Sony nel 1976, e venne completamente coinvolto nello sviluppo del “Charged Coupled Device” o CCD che ha spianato la strada alla videocamera e fotocamera digitale. Mentre era presidente, Sony lanciò  il Betamax (videoregistratore). Il suo mandato si concluse con sua scomparsa nel 1982, ma non prima del lancio del lettore di compact disc , un’altra innovazione Sony che cambiò il modo di ascoltare musica.

Norio Ohga è stato responsabile di Sony in età moderna con un senso unico di stile, attraverso la pianificazione di prodotto, design e marketing innovativo. Durante il suo mandato 1982-1995, Sony è stata trasformata da azienda di elettronica in una società di intrattenimento totale, attraverso la creazione della musica, immagini e videogiochi.

Sony acquisì la CBS Records nel 1988 e Columbia Pictures nel 1989, che oggi formano la Sony Music Entertainment (SME) e Sony Pictures Entertainment (SPE), due dei maggiori produttori al mondo di contenuti. SME ha prodotto una serie di album più venduti di artisti come Michael Jackson, Bruce Springsteen, Mariah Carey, Celine Dion, e Pearl Jam. SPE ha prodotto film di successo Insonnia d’amore, Jumanji, Air Force One, Men in Black e Stuart Little.

Con la presidenza di Ohga, fu lanciato in Giappone nel 1994 la console Sony PlayStation. Le società di software furono inizialmente riluttanti a sostenere nuovo formato della Sony perché Nintendo e Sega erano già saldamente stabilite nel mercato dei videogiochi. Tuttavia, con PlayStation e, più recentemente, Playstation2, Sony è diventato il produttore di giochi di maggior successo di sempre.

Nobuyuki Idei, ha svolto un ruolo chiave nel movimento di Sony verso l’era digitale della rete, sottolineando l’integrazione di AV e prodotti IT.  Era responsabile della campagna d’immagine di Sony, “Do you dream in Sony?” (Sognate in Sony?) e ha contribuito a coniare il termine “digital dream kids” (“ragazzi sogno digitale”). La premessa della campagna era quello di fornire agli azionisti, clienti, dipendenti e partner commerciali che entrano in contatto con la Sony, la possibilità di creare e realizzare i loro sogni.

Kunitake Ando, altro presidente, è stato responsabile del funzionamento globale dell’elettronica Sony. In precedenza è stato responsabile dell’introduzione di Sony VAIO ( personal computer) nel 1996, e ha contribuito a far diventare Sony uno dei leader del Giappone di prodotti delle tecnologie dell’informazione.

Nel corso della sua storia, la Sony ha dimostrato la capacità di catturare l’immaginazione e migliorare la vita delle persone.  L’azienda è stata all’avanguardia della tecnologia per più di 50 anni, impatto positivo per il nostro modo di vivere. Inoltre, poche aziende sono ben posizionate per guidare l’era digitale nelle case e aziende in tutto il mondo per i prossimi 50 anni e oltre.

Oggi, Sony continua ad alimentare la crescita dell’industria con le vendite di prodotti innovativi, nonché con la strategia di convergenza della società. Gli esempi includono: notebook VAIO; fotocamere digitali che catturano immagini su un disco floppy, CD-R o Memory Stick, un dispositivo palmare che consente di memorizzare e visualizzare foto e immagini in movimento; MiniDisc  che con un collegamento digitale per PC sposa audio di alta qualità digitale e  musica scaricabile; DVD / CD changer multi-disco che riguarda la riproduzione sia audio che video; registratori rete digitale che permette di mettere in pausa, riavvolgere e far avanzare rapidamente i programmi TV; e Hi-Scan TV a schermo piatto che offrono una qualità dell’immagine HDTV tramite Digital Reality Creation (DRC).

Ma Sony non è solo il leader del mercato dell’elettronica di consumo.   Attraverso la ricerca e lo sviluppo, l’azienda ha compiuto incursioni notevoli nei settori del broadcasting professionale (con la creazione del Betacam, DVCAM, HDCAM 24P e formati), le comunicazioni mobili (con telefoni digitali e palmari), PC (con VAIO), media (con l’invenzione del disco floppy, unità AIT e DTF, e la Memory Stick) e, ora, su Internet.

Il successo futuro del marchio Sony, sarà determinato dal fatto di come l’azienda soddisfa le sfide del cambiamento. Sony ha sempre guidato il mercato in termini di innovazione. Ma in un mondo digitale in rete, i prodotti non saranno più sviluppate solo con hardware.  La convergenza delle tecnologie, elettronica di consumo, informatica e telecomunicazioni, è la realtà di quest’azienda.

Nella mente dei consumatori, Sony è uno dei più grandi marchi del mondo, la società è stata ancora una volta valutata il numero uno negli Stati Uniti dal 2000. Come è noto, gran parte del patrimonio di Sony è radicata nelle innovazioni di prodotto.

Attualmente lo slogan della società è Sony make.believe un messaggio di marca a livello di gruppo che unisce Sony ad iniziative di comunicazione in tutta l’elettronica, giochi, film, musica, telefoni cellulari e servizi di rete. L’introduzione di “Make.believe” simboleggia lo spirito di Sony verso la creatività e l’innovazione e per  la prima volta ha introdotto un messaggio unitario che comprende sia brand entertainment che di elettronica.

Il termine “Believe” di Sony rappresenta idee e ideali, la capacità di pensare, immaginare e sognare; mentre l’altro termine “make” significa capacità unica della società di trasformare queste idee in realtà. Il “punto” è dove l’ispirazione e la creatività si incontrano, il punto in cui la creatività incontra la realtà.

In questi ultimi giorni, si parla molto delle grandi novità che ci saranno per questa compagnia. La Sony Corporation ha annunciato la nomina di due nuovi executive ed una riorganizzazione delle proprie attività di core electronics e dei servizi connessi, con effetto dal prossimo 1 Aprile 2011. Si tratta di variazioni intese per rendere più agevole la prossima fase della trasformazione di Sony, che negli obiettivi della compagnia la porterà ad essere la principale azienda mondiale di soluzioni e servizi di intrattenimento connesso.

Howard Stringer, Representative Corporate Executive Officer, Chairman, Chief Executive Officer and President di Sony Corporation ha esteso il proprio impegno nella guida della compagnia durante la prossima fase. Sotto la guida di Stringer Sony riorganizzerà le proprie operazioni in due distinte divisioni: tutti i servzi consumer electronics e networked rientreranno sotto il cappello del “Consumer Products & Services Group“, mentre il comparto componenti, semiconduttori e le attività B2B saranno condotti dal “Professional & Device Solutions Group“.

Kazuo Hirai, attualmente Corporate Executive Officer ed Executive Vice President, sarà nominato Representative Corporate Executive Officer and Executive Deputy President e sarà responsabile del Consumer Products & Services Group, che includerà tutte le attività di business del settore consumer electronics inclusi i comparti TV, Home Video, Home Audio, Digital Imaging, PC, Game and Mobile, così come le attività dei servizi network. Hirai supervisionerà inoltre in maniera trasversale le attività di marketing e vendite di Sony, le piattaforme software comuni e le operazioni di progettazione della compagnia, tutte funzioni chiave a supporto dei prodotti e dei servizi della compagnia.

Il gruppo Professional & Device Solutions Group, che include prodotti destinati al mondo broadcasting e professionale, semiconduttori, batterie ed altri componenti chiave, sarà guidato da Hiroshi Yoshioka, Corporate Executive Officer ed Executive Deputy President. Yoshioka avrà inoltre il compito di esplorare nuove opportunità di business, nel campo dell’energia e in quello medicale.

Questo riallineamento delle operazioni aiuterà ad accelerare la crescita e l’innovazione di Sony concentrandosi in maniera strategica sugli obiettivi comuni della compagnia e impiegando la tecnologia, con l’obiettivo di fornire la migliore esperienza di intrattenimento e soluzioni innovative ai clienti in tutto il mondo. Le nuove responsabilità di Kazuo Hirai e Hiroshi Yoshioka permetteranno di far concentrare l’azienda su aree che avranno il maggior impatto nel loro business. La forza dei prodotti e delle tecnologie chiave sta crescendo sempre più e le strategie di rete sono ora una realtà. Queste iniziative, assieme all’ampio portfolio di contenuti, guideranno per prime la crescita e ed il successo di Sony.

Sony Music Entertainment

Sony Music Entertainment e’ una società discografica multinazionale dotata sia di un vasto repertorio di artisti contemporanei che comprende un gran numero di superstar locali e internazionali, sia di un amplissimo catalogo che annovera molti dei più importanti artisti, album e brani della storia della musica di tutti i tempi.

Sony Music Entertainment, è una delle quattro più grandi etichette discografiche (major) nell’industria musicale, è il secondo produttore globale di  musica registrata ed è controllata da Sony Corporation of America , sussidiaria della giapponese Sony Corporation .

La società, che si è evoluta in Sony Music, è stata fondata nel 1929 come American Record Corporation (ARC) attraverso la fusione di diverse case discografiche più piccole.

ARC fu acquistata nel 1938 dalla Columbia Broadcasting System (CBS) che si formò dalla Columbia Phonograph Company, ma poi venduta.  La Columbia Phonograph Company aveva filiali internazionali come la Graphophone Columbia Company nel Regno Unito.

Nel 1964, la CBS stabilì il suo regno di distribuzione con l’acquisizione di Oriole Records prima come casa editrice, in seguito trasformata in casa discografica.  A capo di essa vi era Clive Davis.

Nel frattempo venne fondata la Sony Corporation of America e Bertelsmann acquistò, dalla Columbia Pictures, la Arista Records Inc..

Nel marzo 1968, CBS e Sony formarono CBS / Sony Records, una joint venture commerciale giapponese. La Sony fu uno degli sviluppatori del compact disc, impianto di produzione che fu costruito in Giappone sotto la joint venture , permettendo a CBS, il rifornimento di alcuni dei compact per il mercato americano.

Nel 1970 la CBS Records portò a sè l’ Embassi Records famosa in Italia e in Europa, lo scopo era quello di rilasciare ristampe di album originariamente pubblicati solo negli Stati Uniti. Tra molti album, di artisti diversi possiamo ritrovare Andy Williams , Johnny Cash , Barbra Streisand , The Byrds , Tammy Wynette , Laura Nyro e Sly & the Family Stone. La CBS Records Group fu condotta con grande successo da Clive Davis fino al suo licenziamento shock nel 1972, dopo che fu scoperto che Davis utilizzò fondi CBS per finanziare la sua vita personale.

Nel 1985 Bertelsmann acquistò l’RCA e fondò la BMG, l’anno successivo Bertelsmann acquistò la rimanente quota della RCA Records dalla General Electric. Successivamente Bertelsmann acquistò la RCA Records, quindi RCA cambiò nome in Bertelsmann Music Group (BMG) e nacque BMG Music Publishing.

Nel 1988 Sony acquistò il catalogo dei dischi CBS per due miliardi di dollari, rinominandola Sony Music Entertainment. La CBS comunque mantenne i diritti sul proprio marchio. Sony acquisì anche il catalogo della Columbia Records direttamente dalla EMI, e successivamente anche quello della Epic Records, diventando la sezione pop del listino Sony.

Per quanto riguarda la Columbia records c’è da dire che dal 1961 al 1990, le sue registrazioni furono realizzate negli Stati Uniti e in Canada sotto l’etichetta CBS Records prima di adottare il nome Columbia nella maggior parte del mondo. Oggi è la prima etichetta sussidiaria della Sony BMG Music Entertainment. Fino al 1989, la Columbia Records non ha avuto alcuna connessione con la Columbia Pictures, tranne il nome simile; oggi è connessa ad essa in quanto parte del gruppo Sony.

Per  sostituire l’etichetta CBS, Sony reintrodusse la Columbia come etichetta in tutto il mondo, dopo aver acquisito i diritti internazionali per il marchio da EMI nel 1990.

Il Giappone fu l’unico paese dove Sony non disponeva dei diritti per il nome Columbia in quanto era controllata da Nippon Columbia , una società indipendente. Così, Sony Music Japan non poteva utilizzare il marchio Columbia per le registrazioni da etichetta Columbia rilasciate in Giappone.

Il marchio Columbia Records fu controllato anche in Spagna da un’altra società, Bertelsmann Music Group (BMG).

Nel 2003 Sony Music, che deteneva una partecipazione in Pressplay – distributore di musica on-line – investì anche nella concorrente MusicNet, controllata da RealNetworks, AOL Time Warner, Bertelsmann e EMI.

Nell’agosto 2004, la Sony Music Entertainment creò  una joint-venture con un’altra casa di produzione storica, la BMG, creando l’impero musicale Sony BMG Music Entertainment e controllando di fatto più della metà del mercato musicale mondiale.

Ma Sony continuò a gestire la sua musica d’affari giapponese indipendentemente da Sony BMG.

La società sarà partecipata al 50% da Bertelsmann e il 50% di proprietà da Sony. Il compimento della transazione restò soggetto a una serie di condizioni, tra cui l’approvazione delle autorità di regolamentazione negli Stati Uniti e l’Unione europea.

Decidendo di avviare un’indagine approfondita sulla proposta di fusione delle attività musicali tra la tedesca Bertelsmann e la giapponese Sony, che porterebbe alla nascita della joint venture Sony BMG, la Commissione Ue non lasciò scelta alle due major discografiche. Per dar seguito all’operazione di fusione, i due Gruppi dovevano sacrificare alcuni asset, visto che  dopo un mese di esame la Commissione si preoccupò che la transazione poteva creare o rafforzare una posizione dominante delle maggiori società di registrazione nel settore musicale.

Dopo una prima fase di esame durata un mese, l’esecutivo Ue nutrì il dubbio che la transazione poteva creare o rafforzare una posizione dominante collettiva delle maggiori imprese discografiche. Oltre a Sony BMG vennero citati Universal, Warner ed Emi che insieme controllano circa l’80% del mercato della musica registrata, tanto a livello europeo che nella maggior parte dei mercati nazionali nello Spazio economico europeo.

Sony BGM e Universal, da sole, coprirebbero circa la metà del mercato delle incisioni musicali.

Nel corso dell’inchiesta, si indagò anche su altri aspetti del caso, per verificare se sussisteva il timore di violazione delle regole antitrust anche per quel che riguarda l’integrazione verticale di società affiliate attive su altri mercati, come quello Tv di Bertelsmann Music Group (BMG) e servizi di music downloading e lettori portatili di Sony Corp.

Il Gruppo tedesco, sostenne la Ue, poteva ad esempio sfruttare la posizione leader nelle trasmissioni radiotelevisive in Europa della sua controllata RTL per dare accesso privilegiato alla musica Sony BMG.  La società giapponese invece poteva precludere il catalogo musicale della nuova joint-venture ai suoi concorrenti nel campo dei servizi di downloading e dei lettori portatili di musica digitale.

L’intesa con Sony, notificata a Bruxelles, lasciò separate le attività di pubblicazione, produzione e distribuzione di dischi delle imprese. Il rischio di posizione dominante riguardò invece l’ingaggio degli artisti, la registrazione delle canzoni, le operazioni di marketing per gli artisti e i loro lavori e la vendita di CD.

Una soluzione poteva essere quella di cedere una parte della nuova unità. Erano propensi verso questa soluzione, sia il Commissario Ue alla Concorrenza, che le case discografiche indipendenti.

L’altra possibilità per Sony BMG poteva essere quella di proporre degli accordi di distribuzione con le altre etichette, in particolare nell’ambito delle vendite di musica online. Sarebbe quello che Vivendi aveva proposto, anni fa, al fine di avere l’OK delle Autorità di Bruxelles alla sua fusione con Universal.

Questa seconda ipotesi sarebbe stata meno dolorosa per Sony e BMG, che non sarebbero state costrette a cedere asset ai loro maggiori competitor.  I due vantano etichette prestigiose come Arista, Jive, Zomba e RCA, Epic, Columbia, Legacy.  Privarsi di uno di questi gioielli avrebbe avuto conseguenze importanti e potrebbe  mettere in pericolo l’interesse di questa stessa fusione.

In ultima ipotesi, la Commissione poteva accettare che Sony BMG dismetteva una divisione considerata meno strategica in uno dei Paesi europei. Nel corso dei mesi, Sony e BMG dovevano convincere non solo Bruxelles, ma anche gli altri operatori. I concorrenti, come Apple, erano fin troppo contrari.

Apple, la società presieduta da Steve Jobs, che si è lanciata nella musica con il negozio di dischi online iTunes Music Store, si era detta intimorita da questa fusione che darebbe a Sony un vantaggio considerevole in termini di concorrenza sul mercato del downloading. D’altra parte, il Gruppo giapponese doveva lanciare il proprio servizio, con il nome di Sony Connect e Music Box.

Ma con l’approvazione anche della Federal Trade Commission (FTC) venne dato il via alla fusione tra Sony e BMG.

Nel 2006 Bertelsmann annunciò la vendita del 50% di Sony BMG per comprare il 25% delle proprie azioni che erano in mano a Groupe Bruxelles Lambert (GBL). Inoltre, formò insieme ad altre 10 società (EMI, Warner Music Group, Universal Music Group, Apple, Microsoft e RealNetworks) una nuova organizzazione chiamata DDEX, ovvero Digital Data Exchange. L’organizzazione si prefisse di unificare e standardizzare le informazioni relative alla vendita online della musica digitale. La standardizzazione dei dati di vendita aiuterà ad avere un quadro molto più preciso relativamente alle quote di mercato dei diversi protagonisti in campo. Nello stesso anno insieme a Warner Music Group, Universal Music Group e EMI rinnovò con Apple i contratti per ciò che riguardava la vendita di brani musicali attraverso il servizio iTunes Music Store di Apple. I contratti furono nuovamente siglati per un costo di 99 centesimi di dollaro per brano ma non furono state rilasciate informazioni sulla durata dei nuovi accordi.
Il 13 luglio del 2006 la Corte europea di giustizia bocciò la fusione tra Sony e Bertelsmann music group (BMG), filiale tedesca della Bertelsmann, avvenuta nel 2004. Il tribunale di primo grado infatti annullò, con una sentenza emessa, la decisione presa dalla Commissione europea che aveva dato la sua “approvazione regolamentare” non avendo trovato prove sufficienti per opporsi all’accordo. Il 5 ottobre Sony e Bertelsmann presentarono ricorso presso la Corte di Giustizia di Lussemburgo contro la decisione dell’Unione europea. Nel frattempo anche Google siglò con Sony BMG e Warner Music Group un accordo per offrire video musicali gratuitamente.

Nel 2008 Sony Corporation of America e Bertelsmann annunciarono che Sony decise di acquisire il 50% del capitale Bertelsmann presente in Sony BMG.  La società, verrà ancora una volta chiamata Sony Music Entertainment e divenne una filiale interamente di proprietà della Sony Corporation attraverso la sua filiale negli Stati Uniti, Sony Corporation of America .

Passando la quota societaria in mano al gruppo Bertelsmann interamente a Sony, si diede vita, con l’inizio del 2009 alla nuova denominazione Sony Music, che si affrettò subito a sfruttare il catalogo precedentemente in mano alla BMG; ad esempio, ristampando molte raccolte della collana economica “Flashback” (con nuova grafica) e l’intera discografia di Fabrizio De André in digipack.

Dallo stesso anno, ai giorni nostri, la Sony BMG concede, inoltre, un contratto di 300,000 euro ai vincitori del talent show X Factor, e un contratto da 15.000 ad un concorrente del talent show Amici. I rispettivi programmi sono parte integrante del palinsesto televisivo RAI e Mediaset.

 Sony Music VS Pirateria: uno scontro decisivo

Nell’era della musica digitale, la copia illecita o la masterizzazione di CD è un rampante problema che mina i diritti dei detentori di copyright, etichette discografiche, e artisti.

L’industria discografica ha cercato di affrontare questo problema di produzione e rilascio CD con vari tipi di Digital Rights Management (DRM).

La pirateria costa alle major discografiche milioni e milioni di dollari l’anno. Per la Sony, da sempre leader del settore discografico, una delle possibili strategie per limitare i danni della pirateria musicale è un accordo tra major ed internet provider.

Accordi del genere, in linea di principio, possono applicarsi anche ad altri settori: l’ex presidente della Sony Music Italia, Rudy Zerbi, pensò di entrare  in trattativa con alcuni gestori dell’accesso ad internet per dar vita a nuovi servizi per la vendita di brani audio.

Attraverso tale strategia le major discografiche possono recuperare le grandi perdite causate loro dalla pirateria musicale che rappresentano una causa determinante di danno artistico.

I dati sono emblematici, infatti, fino a 5/10 anni fa i margini della produzione consentivano di finanziare tutta un’attività di sperimentazione che offriva un’opportunità di lancio per giovani artisti sconosciuti, oggi tutto ciò non è più possibile. Quindi il danno non è solo industriale ma anche artistico, perché si riducono gli spazi per tanti giovani talenti di farsi sentire e vedere.

Si pensò che con una piccola cifra aggiuntiva sull’abbonamento del provider, il consumatore poteva avere a disposizione l’intero catalogo musicale di Sony Music dal quale scaricare legalmente brani, evitando anche virus in grado di danneggiare il proprio personal computer.

Negli ultimi dieci anni, la guerra l’industria discografica sulla pirateria si è concentrata sulla musica scaricata da Internet e condivisione di file (come ad esempio, il caso The Pirate Bay). Come risultato di vittorie recenti, l’industria discografica sembra ora avere il sopravvento nella battaglia on-line. Ma questa battaglia certamente non è finita, la tregua ha dato delle case discografiche la possibilità di concentrarsi su un altro presunto colpevole nelle lotte del business musicale: la copia del compact disc (CD).

L’industria discografica è ben consapevole dell’impatto che i CD masterizzati hanno avuto sulla sua attività.  Da diversi anni, le etichette musicali più importanti cercano soluzioni con gestione dei diritti digitali (DRM) e di altre tecnologie anti-pirateria che, tra le altre cose, avrebbe impedito ai consumatori di convertire i loro CD in file di computer e limitare il numero di copie di un CD di un consumatore che potrebbe fare.

Nel 2005, la Sony pubblicò album di artisti famosi con un software installato sui CD. Si trattava di una nuova tecnologia di protezione Extended Copy Protection (XCP), sviluppata dalla compagnia inglese First4Internet. La tecnologia XCP affiancò alle tradizionali protezioni a livello di supporto anche la possibilità di introdurre restrizioni DRM nei file del disco.

Buona parte delle major discografiche ha già testato la tecnologia di First4Internet con CD distribuiti a scopo valutativo o promozionale. Sony BMG è  stato uno dei primi giganti del settore ad aver sperimentato XCP in album commerciali, album di cui l’azienda non ha però voluto rivelare i titoli: alcune fonti riportano soltanto che i CD così “blindati” sarebbero oltre un milione.

Lo scopo di questo software era quello di contrastare la pirateria musicale e proteggere la proprietà intellettuale di Sony.

I CD di Sony  protetti con XCP permettevano agli acquirenti di effettuare al massimo tre copie e di estrarre le tracce audio sul proprio hard disk solo utilizzando un apposito software fornito in dotazione: tale programma, disponibile solo su Windows e Mac, faceva sì che la musica copiata su disco veniva cifrata e poteva essere riprodotta solo con la giusta licenza. Se un utente voleva “prestare” i propri brani ad un amico, il software si preoccupava di generare una copia dei file audio e una specifica chiave temporanea: affinché la persona che aveva acquistato il CD poteva  nuovamente riascoltare i brani compressi, l’amico a cui aveva passato le tracce protette doveva restituirle insieme alla licenza.

Il formato XCP, che First4Internet dichiarò essere pienamente compatibile con lo standard CD-Audio di Philips/Sony, supportò anche la creazione di CD multisessione contenenti tracce audio compresse protette da tecnologie DRM di terze parti, come quella che accompagna il formato WMA di Microsoft.

Nonostante ciò la musica continuò a fluire indisturbata sui circuiti del P2P.  Sebbene Sony affermò che i suoi  CD protetti da copia contenevano avvertimenti, la maggior parte dei consumatori non era a conoscenza del software se non dopo aveva acquistato il CD.

La situazione si aggravò nel momento in cui si venne a conoscenza che l’XCP si insinuava all’interno del PC in modo subdolo esattamente come un virus e provocava delle profonde falle nei dispositivi di sicurezza del sistema operativo. Il problema era stato portato alla luce da un ricercatore informatico che leggendo un cd Sony sul suo pc si era accorto che erano stati attivati dei software ‘rootkit‘, generalmente utilizzati dagli hacker per assumere il controllo remoto dei computer di utenti ignari.

Il primo a citare in giudizio l’azienda fu il procuratore generale del Texas Grag Abbott che chiese alla Sony un’ammenda civile di 100mila dollari sulla base della Consumer Protection Against Spyware Act, una legge in difesa del consumatore contro questo genere di software che rende particolarmente all’avanguardia lo stato del Texas nel campo legislativo informatico.

Da allora sono partite altre 15 class action (azioni legali collettive) cinque delle quali portate avanti dalla Electronic Frontier Foundation, un’associazione in difesa dei consumatori.

La bozza dell’accordo raggiunto, riguardò i clienti che avevano acquistato cd nei quali erano presenti l’Xcp e il MediaMax, un software gemello ma meno aggressivo.

Ora,grazie all’accordo i consumatori potranno farsi sostituire i cd che contengono gli spyware con un nuovo disco privo dei programmi di monitoraggio, oppure potranno scaricare gli album musicali direttamente dal web. Economicamente, ammonta a quasi 50 milioni di dollari, l’accordo che la Sony  ha raggiunto con le associazioni in difesa dei consumatori che hanno citato in giudizio l’azienda lo scorso novembre.

Potremmo quindi concludere con un proverbio che potrebbe accompagnare questa “parabola” della Sony: “Chi di Drm ferisce, di pirateria perisce”. Essendo il DRM infetto da rootkit, la musica finisce nelle maglie della copia illegale.


[1] G. SIBILLA, L’industria musicale, ed. Carrocci, Roma, 2006

[2] F. ALDRICH E P. MASERA, Il mercato digitale. Strategie e modelli per dominare la nuova economia, ed Il Sole 24 Ore, Milano, 2000

19/07/2013 Posted by | Uncategorized | Lascia un commento